
Accadde nell’estate 1960. Kennedy, senatore democratico per il Massachusetts, correva per la Casa Bianca. Chiamò Ian Fleming a Londra. Mi venga a trovare, gli disse, ho letto i suoi libri e trovo molto originali ed efficaci i metodi di spionaggio che lei descrive. Poche settimane dopo Fleming era a Georgetown, il quartiere che nella capitale americana ospitava i grandi nomi della grande politica. E Kennedy gli spiegò: se diventerò presidente, uno dei problemi più urgenti riguarderà Fidel Castro, dovrò trovare la maniera di eliminarlo. Il futuro presidente temeva che, prima o poi, sarebbe entrato nell’orbita sovietica. E temeva che l’Urss ne avrebbe approfittato per fare di Cuba una base missilistica. Il che puntualmente si verificò, come si sa. Nel 1962 le due superpotenze furono a un passo dal conflitto. Meglio prevenire, aggiunse Kennedy. Ian Fleming dapprima sfoggiò un umorismo molto british. Senatore – gli disse – faccia gettare dall’aereo tonnellate di pesos falsi sull’Avana e volantini con la scritta “Con i complimenti degli Stati Uniti”.
Il giovane futuro presidente si fece una risata. Ma chiese all’ospite di incontrare Allen Dulles, direttore della Cia sotto Dwight D. Eisenhower, e fratello di Foster, che poi con Kennedy sarebbe diventato segretario di Stato.
Anche Allen Dulles era un avido lettore di Fleming. Lo mise in contatto con l’Office of Technical Service, dove si studiavano, costruivano e provavano i gadgets dello spionaggio. Primo suggerimento: bisognava fare in modo che Castro si tagliasse la barba. Perché? gli chiesero. Perché senza barba Castro avrebbe perso il suo fascino rivoluzionario. Dunque sarebbe stato opportuno far trapelare indiscrezioni scientifiche dalle quali risultasse che barbe e baffi attiravano in qualche maniera la radioattività. Non ci cascherà, gli replicarono.
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